Metanolo: trent’anni fa

Era stata la caporetto del vino italiano. 19 morti, 13 feriti gravi e anni di fatiche per recuperare l’immagine del made in Italy. Sono passati 30 anni da quel 2 marzo 1986, quando Armando Bisogni un pensionato milanese, viene trovato morto in casa, accanto un bottiglione di vino. Un attentato alla salute pubblica, così dirà il pubblico ministero Alberto Nobili, all’epoca titolare dell’inchiesta, un omicidio volontario.

Sì, perché Armando era certo un buon bevitore, ma non avrebbe mai immaginato che avrebbe potuto lasciarci la pelle avvelenato dal metanolo.

Il metanolo o alcol metilico e’ un alcol altamente tossico che si ottiene per distillazione a secco del legno o, industrialmente, per sintesi o, ancora, con la pressatura delle uve, quando questa viene spinta al massimo per ottenere un’elevata produzione di vino e viene impiega- to nei processi di vinificazione perché aumenta la gradazione alcolica del vino al pari dello zucchero/o dell’alcol etilico. È poi un componente naturale del vino presente in una misura compresa tra 0,6 e 0,15 ml su 100 ml di alcol etilico complessivo, prodotto secondario della fermentazione alcolica, ma provoca danni permanenti ed è mortale nelle dosi tra 25 e 100 ml.

In due mesi fra marzo e aprile tra la Lombardia, la Liguria e il Piemonte, per avvelenamento da metanolo, morirono come il pensionato Armando, altri 13 uomini e 5 donne. E poi ci furono i feriti gravi: 11 persone riportarono lesioni alla vista gravissime alcuni persero la vista. Anche loro avevano bevuto quel vino – Barbera da tavola e bianco da tavola – prodotto dopo la vendemmia dell’ 85 dalle cantine della ditta Ciravegna di Narzole, in provincia di Cuneo, e imbottigliato dalla ditta di Carlo e Vincenzo Odore, titolari della societa’ di Incisa Scapaccino in provincia di Asti e venduto nei supermercati.

Padre e figlio nella produzione che commercializzavano con almeno una decina di ditte diverse, avevano aggiunto al vino, alcol metilico, per alzarne la gradazione. Ma i responsabili della truffa erano 19, addetti al trasporto clandestino di metanolo, che grazie all’abolizione dell’imposta di fabbricazione era diventato molto più conveniente come veicolo di adulterazione dello zucchero. Il traffico di metanolo era stato messo in piedi senza alcuna preoccupazione per le conseguenze sulla salute, come rivela una conversazione telefonica di uno degli adulterato:

«Ma te l’ avevo detto io che quell’ alcol lì non va bene […] a me mi sembri matto, sei tutto matto… gli ho fatto fare le analisi, è velenoso, è un veleno, hai combinato un casino per tutto il mondo. Sarai poi stupido?».

Dal processo erano rimasti fuori i titolari della ditta Odore, e di quelle che avevano acquistato e venduto il vino imbottigliato prodotto dai Ciravegna (Giovanni sarà poi condannato a 14 anni di reclusione), ma che non avevano responsabilità perché ignoravano l’adulterazione. Per il pubblico ministero Alberto Nobili, la ricerca della fonte di avvelenamento era stata una lotta contro il tempo: altri avevano certo acquistato il vino adulterato ed era necessario procedere rapidamente a sequestri e segnalazioni, per evitare altre morti.

Numerose leggi e provvedimenti per la salute e la tutela dei consumatori sono nate proprio dopo la tragedia del vino al metanolo. È stata la sofisticazione alimentare più grave dal dopoguerra, e un danno economico pesantissimo per il settore vitivinicolo. Il vino faceva paura.

 

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