Non aprite quella pappa!

Un libro da leggere, Non aprite quella pappa! Manuale di autodifesa per genitori e bimbi, di Laura Bruzzaniti (ed. Altreconomia). Spiega con riferimento perché il baby-food è cibo spazzatura, in quali modi l’industria riesce a convincerci dell’esatto contrario, e come difendersi dalla guerra dei marchi per l’accaparramento di sempre maggiori quote di stomaco (Share of Stomach nel gergo del marketing).

Già alla sua nascita, nella prima metà del secolo scorso, il cibo industriale per bambini e bambine viene associato all’idea di progresso, salute, igiene. Ha un successo tale da cambiare le regole dello svezzamento, anticipandolo di alcune settimane, anche grazie all’adesione dei pediatri al nuovo credo. E se oggi secondo la OMS il latte materno dovrebbe essere l’unico alimento fino al sesto mese, la pubblicità di omogeneizzati ed altri prodotti li dichiara adatti già a partire dal quarto.

Il mercato dei prodotti per l’infanzia è per la maggior parte in mano a tre grandi multinazionali dell’alimentazione: Kraft-Heinz Company, Danone e Nestlé che si spartiscono circa il 70% delle vendite totali.

È istruttivo anche capire il lato economico del baby food. Laura Bruzzaniti, citando Oxfam, ci ricorda che i 450 miliardi di dollari che costituiscono le entrate annuali delle 10 Grandi Sorelle dell’alimentare equivalgono alla somma del PIL di tutti i paesi a più basso reddito al mondo. A sottolineare quanto grande sia il potere che esercitano e quali mezzi hanno per manipolare informazioni e costruire consenso intorno ad una categoria di alimenti in definitiva non salutare.

La gran parte del testo, infatti, offre indicazioni molto pratiche e utili a capire non solo come comportarsi davanti allo scaffale del supermercato e del negozio bio, ma anche davanti a pargoli recalcitranti per un piatto di spinaci veri. Sono considerati sia gli alimenti che vanno sotto la targa di baby food, che comprende prodotti fino a tre anni e regolamentati da norme specifiche, sia quelli proposti come adatti ai bambini ma che, in realtà, sono cibo normale.

Laura Buzzaniti ci spiega che cosa c’è che non va nel cibo industriale per bambini, come leggere l’etichetta, quali sono i componenti potenzialmente nocivi, smontando i postulati su cui si fonda la fiducia dei consumatori verso omogeneizzati, succhi di frutta, prodotti da forno, preparati a base di carne e pesce e verdure, formaggini e yogurt. Questi prodotti “per i più piccoli” contengono più zuccheri, coloranti, aromi artificiali e grassi dei prodotti normali. Però costano di più.

Per quanto riguarda gli omogeneizzati, il consiglio è di evitarli del tutto.  L’unico vantaggio dell’omogeneizzato è che fa risparmiare tempo: è già pronto. Da tutti gli altri punti di vista è meglio introdurre gradualmente gli alimenti consumati dal resto della famiglia. Sì, ma a che età? Lo spiega Adriano Cattaneo, epidemiologo, in una delle interviste che fanno parte del libro:

“Si può fare, ad esempio, la “prova della banana“. Quando il bambino riesce a stare seduto da solo, senza sostegno, si può provare a mettergli una banana in mano. Se il bambino la usa solo per giocare o la mette in bocca ma la sputa, si aspetta qualche giorno e poi si riprova. Quando il bambino è in grado di mettere in bocca la banana, di staccarne un pezzo, di tenerlo in bocca e masticarlo, e di deglutirlo, vuol dire che ha raggiunto lo sviluppo e il coordinamento neuromotorio necessario”.

Meglio quindi la mela grattugiata, lo yogurt intero senza zucchero con la frutta dentro, il passato di verdura. Perché così si educa anche il gusto, grazie alla sperimentazione di accostamenti (acido-dolce, croccante-morbido… ) e di sapori diversi.

Molto utile anche il capitolo dedicato alla pubblicità. Finiti i tempi in cui la gran parte della fiducia nel brand era creata dalla televisione, adesso la guerra del marchio per la conquista degli stomaci si gioca anche su molti altri piani. Dai laboratori didattici nelle scuole all’ingaggio di blogger, dalle campagne a premi al finanziamento dei congressi dei pediatri. Una delle fonti dell’autrice è l’ACP, Associazione culturale pediatri, che sui vantaggi del baby food per la nutrizione dei bambini si è disociata dalla posizione della FIMP, Federazione italiana medici pediatri. Ed è anche l’unica società scientifica pediatrica che ha fatto una dichiarazione di conflitto di interessi, rifiutandosi di accettare contributi dalle industrie del baby food.

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