Obiezione di coscienza in Lombardia è violazione diritti umani

Regione Lombardia “non virtuosa” nella tutela del diritto alla salute delle donne. I dati che denunciano le carenze della giunta Maroni nella offerta e gestione dei servizi socio-sanitari per l’interruzione volontaria di gravidanza arrivano dal gruppo regionale del Partito democratico e fotografano la situazione dei servizi per l’I.V.G. su scala ospedaliera.

CENTO PER CENTO OBIETTORI

Il dettaglio della fotografia è importante perché, come ci ricorda in questa intervista l’epidemiologo Michele Grandolfo, l’efficienza di un servizio pubblico non si può valutare “in media”, come fa invece la ministra della salute Beatrice Lorenzin, ma deve essere misurata localmente, cioè nel territorio in cui il bisogno si manifesta. Significativo dunque che se il dato lombardo complessivo dell’obiezione è del 68,2%,

sono a tutt’oggi 6 su 63 i presidi nei quali la totalità dei ginecologi è obiettore di coscienza (Iseo, Sondalo, Chiavenna, Gavardo, Gallarate, Oglio Po), in 16 è superiore all’80%. Solo in 5 strutture l’obiezione è inferiore al 50%.

Questi dati arrivano a poche ore dal Monito dal Comitato per i Diritti Umani  delle Nazioni Unite all’Italia per la mancata applicazione della legge 194. L’elevato numero di medici obiettori che si rifiutano in tutto il paese di effettuare il servizio costituisce una violazione dei diritti umani, secondo l’ONU, che al governo italiano chiede di prendere le misure necessarie per garantire il servizio: protocolli e linee guida.

RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO O DELLE REGIONI?

Il Governo italiano, che avrebbe secondo l’ONU il compito di regolamentare l’obiezione di coscienza e di approntare le regole per la corretta presa in carico della domanda di salute, nel recente passato ha invece “rimbalzato” sulle Regioni tale responsabilità. Nel 2014, infatti, un tavolo tecnico istituito dal Ministero in seguito ad una raffica di interrogazioni parlamentari sulla materia produceva il capolavoro della Relazione sullo stato di attuazione della legge 194 del 1978”. In cui oltre a fare la media del personale non obiettore sul territorio nazionale, si dava “invito” alle Regioni di “procedere a un dettagliato approfondimento dei dati del monitoraggio per individuare, ciascuna per il proprio ambito, i bisogni del territorio”. 

Rimane così disatteso, a tutt’oggi, l’articolo 9 della legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza, secondo cui “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare gli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione”.

ABORTO FARMACOLOGICO

Ma in Lombardia rimane disatteso anche un altro articolo della legge 194, quello che riguarda l’obbligo di ricorrere anche per l’aborto (come per il parto e la contraccezione) alle tecniche più moderne e rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna (art. 15). Il che significherebbe, oggi, rendere largamente disponibile il metodo farmacologico. Un metodo che in Francia è somministrato in consultorio dalle ostetriche.

In Lombardia, segnalano ancora i dati del P.D. regionale, la percentuale di ivg farmacologiche infatti nel 2015 è ferma al 5,1%  – a fronte del dato di altre regioni come la Liguria 40,3% (più 10% rispetto al 2014),  il Piemonte 32,5% (più 9% rispetto al 2014)  l’Emilia Romagna 25,8%, la Toscana 20,1 % . Con un numero impressionante di strutture che non danno questa possibilità:

In Lombardia 33 strutture su 63, il 52%, non praticano Ivg farmacologiche; questo perchè passa troppo tempo tra la certificazione e l’esecuzione dell’Ivg e spesso scadono i 49 giorni utili per effettuare l’ Ivg farmacologica. Inoltre, a differenza di altre regioni, per l’ Ivg farmacologica è previsto il ricovero obbligatorio di tre giorni, a fronte del day hospital per le Ivg chirurgiche.

I COSTI DEL DISSERVIZIO

La mancata regolamentazione dell’obiezione di coscienza di personale medico e paramedico ricade non soltanto sulla salute e la qualità della vita delle donne che scelgono di interrompere una gravidanza nel primo trimestre, ma anche sulle tasche dei e delle contribuenti. Ancora i dati del PD regionale:

Per sopperire, i pochi ginecologi non obiettori a rotazione coprono più presidi ospedalieri spostandosi esclusivamente per effettuare IVG. In alternativa, le ASST sono costrette a ricorrere a personale esterno, cioè a medici gettonisti che si recano negli ospedali esclusivamente per questo tipo di intervento e per i quali nel 2016 sono stati spesi 153.414,00 euro.

Gettonisti che però non coprono le interruzioni del secondo trimestre, sulle quali possono intervenire solo medici strutturati. Ricorrere all’interruzione di gravidanza dopo il terzo mese (ad esempio in caso di malformazioni fetali gravi) diventa, in questo caso, un percorso ad ostacoli con ricadute gravi sul benessere fisico e psichico delle donne e delle coppie che si trovano ad affrontare il problema, magari dopo avere ricevuto i risultati della diagnosi prenatale in uno degli ospedali che fanno “obiezione di coscienza di struttura“. E’ una delibera sull’accreditamento dei consultori privati, poi estesa anche agli ospedali, ad esonerare le strutture private accreditate dal compito di garantire alle donne lombarde i servizi previsti dalle leggi nazionali sui consultori (405/75) e sull’interruzione volontaria di gravidanza (194/78).

 

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