Olio di Palma, preferirei di no
|L’olio di palma è cancerogeno? La risposta è: no, se è consumato a crudo. L’olio di palma che consumiamo attraverso gli alimenti è cancerogeno? La risposta è: sì quando è portato a una temperatura superiore ai 200 gradi, perché libera tre sostanze, il glicidiolo o GE, genotossico e cancerogeno, il 2Mcpt e il 3Mcpt, che hanno effetti nefrotossici, cioè dannosi per i reni. Lo ha detto l’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) che ha pubblicato lo scorso 3 maggio un parere sui rischi per la salute che derivano dal consumo di olio di palma.
Torniamo a parlarne perché mentre parte dell’industria alimentare dopo il parere dell’Efsa ha cominciato a sostituire questo grasso vegetale con altri olii in una numerosa tipologia di alimenti – in particolare quelli consumati dai bambini, che sono maggiormente esposti al rischio -, l’Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile ci fa alcune obiezioni a proposito dell’intervista a Dario Dongo dal titolo Palma Leaks, le multinazionali sapevano?
Ci preme chiarire che dati sulle importazioni, sui consumi, studi scientifici sui rischi di cui abbiamo parlato anche in altri post, derivano da fonti autorevoli e attendibili (Iss – Olio di Palma) e che mettiamo a disposizione di chi avesse voglia di approfondire. Per esempio:
“Il […] consumo [di olio di palma] in Europa si attesta intorno al 12% del totale mondiale, in USA al 3%. A livello globale, l’olio di palma viene utilizzato:
- per l’80% nel settore alimentare (olio per frittura, margarine, prodotti di pasticceria e da forno, e gran parte dei prodotti alimentari trasformati)
- per il 19% nel settore dei cosmetici, saponi, lubrificanti e grassi, prodotti farmaceutici, pitture e lacche, ecc.
- per l’ l % per la produzione di biodiesel”.
Lo storico dei volumi di olio di palma per uso alimentare indica che dal 2008, la quantità di questo ingrediente importata in Italia è andata progressivamente aumentando, da 40.000 tonnellate/anno nel periodo 2005-2008 a 75.000 nel 2009 e 76.000 nel 2010. Relativamente agli anni precedenti, spicca il dato del 2004 quando si è registrata un’impennata nell’importazione di olio di palma in Italia, con un volume di 80.000 tonnellate, rispetto alle 40.000 tonnellate annue del periodo 1993-2003. (Fonte: Istituto superiore di sanità)”
Il pericolo per la salute dal consumo di olio di palma, dicono gli studi deriva dai processi di lavorazione di quest’olio vegetale. Come la raffinazione, procedimento necessario per correggere l’acidità, togliere odori, colori e sapori indesiderati agli olii (con l’eccezione dell’olio extravergine di oliva), e indispensabile per impiegare l’olio di palma nell’alimentazione. È in questa fase che si formano i composti cancerogeni e genotossici di cui riferisce l’Efsa. Perché? Per il suo alto contenuto in acidi grassi saturi, che ne favorisce lo sviluppo.
“Nell’olio di palma la percentuale di acidi grassi saturi si aggira intorno al 50% (con una netta prevalenza di acido palmitico), il restante 50% è rappresentato da acidi grassi insaturi (con prevalenza di acido oleico, monoinsaturo)”. (Fonte: Istituto superiore di sanità)
In Italia l’olio di palma per impiego alimentare arriva alle industrie già raffinato. È utilizzato in moltissimi prodotti da forno, merendine, gelati, creme spalmabili, anche alimenti per la primissima infanzia. Alimenti generalmente consumati dai bambini, di conseguenza più esposti degli adulti ai rischi che derivano dal consumo di sostanze tossiche e cancerogene.
Come si vede da questa tabella, il consumo di acidi grassi saturi, nella dieta, soprattutto nella prima infanzia è molto significativo. È sempre l’Iss a sottolinearlo:
“L’assunzione di acidi grassi saturi sia da alimenti contenenti olio di palma aggiunto che da alimenti in cui questi grassi sono naturalmente presenti, risulta in generale più elevata nei primi anni di vita. In particolare, l’assunzione di acidi grassi saturi da alimenti contenenti olio di palma risulta più elevato durante l’allattamento e il divezzamento, in funzione della formulazione del latte artificiale che, analogamente a quello materno, contiene elevate quantità di acido palmitico. […] Numerosi studi suggeriscono l’associazione tra consumi eccessivi di acidi grassi saturi e patologie ossee (Humpries, 2012) e altre patologie come neoplasie, in particolar modo del colon retto e mammella” (Hodge et al. 2015; Xia 2015).
E ancora, l’Efsa scrive:
“I più elevati livelli di GE, come pure di 3-MCPD e 2-MCPD (compresi gli esteri) sono stati riscontrati in oli di palma e grassi di palma, seguiti da altri oli e grassi. Per i consumatori a partire dai tre anni di età, margarine e ‘dolci e torte’ sono risultati essere le principali fonti di esposizione a tutte le sostanze”.
I produttori sapevano dei rischi per la salute? Sì, e non lo diciamo noi, ma L’Efsa, in questo estratto dal parere pubblicato il 3 maggio scorso.
“La disamina […] ha messo in luce che i livelli di GE negli oli e grassi di palma si sono dimezzati tra il 2010 e il 2015, grazie a misure adottate volontariamente dai produttori. Ciò ha determinato una diminuzione importante dell’esposizione dei consumatori a dette sostanze”.
L’industria che trasforma l’olio di palma ha adottato cautele e migliorato la lavorazione della materia prima, come riconosce Efsa, con un effetto positivo diretto sui livelli di queste sostanze. E l’uso di olio di palma negli alimenti non è vietato, quindi il suo impiego nell’alimentazione è legittimo, una libera scelta delle imprese. Così come i consumatori hanno il diritto ad essere informati sui rischi per la salute che derivano dal suo consumo. E poi faranno le loro scelte.
Anche perché l’olio di palma si può sostituire, con altri grassi vegetali, come dimostrano le scelte di molti marchi dell’industria alimentare.
Resta il fatto che una sana alimentazione passa anche attraverso un cambiamento delle abitudini, a prescindere dall’olio di palma.